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Apollo 13, viaggio nell’infinito e ritorno

Ripercorriamo l’avventura di Jim Lovell (1928-2025) che con Jack Swigert e Fred Haise è stato costretto dalla sorte a spingersi fino a 400.171 km (il punto più distante dalla Terra mai raggiunto da un essere umano) nell’aprile del 1970

L’11 aprile 1970, alle 19:13 UTC, il Saturn V di Apollo 13 si è alzato dal Kennedy Space Center diretto verso la Luna. Doveva essere la terza missione con allunaggio del programma Apollo, con il sito di Fra Mauro come obiettivo scientifico. In cabina c’erano il comandante Jim Lovell, il pilota del modulo di comando Jack Swigert e il pilota del modulo lunare Fred Haise. Il decollo è stato regolare, le prime ore di volo anche. Tutto lasciava pensare a una missione nella norma.

L’esplosione e il cambio di rotta

Circa 56 ore dopo il lancio, mentre l’equipaggio eseguiva una procedura di routine su un serbatoio di ossigeno, si è verificata un’esplosione nel modulo di servizio. “Houston, abbiamo avuto un problema” è la frase che ha segnato il cambio di destino. Il guasto ha danneggiato gravemente i sistemi elettrici e la riserva di ossigeno, rendendo impossibile l’allunaggio e mettendo in dubbio il rientro. La priorità della NASA, a quel punto, è diventata salvare l’equipaggio, con una corsa contro il tempo in condizioni sempre più difficili.

Il rifugio nell’aquarius

Lovell, Swigert e Haise si sono rifugiati nel modulo lunare Aquarius, usato come scialuppa di salvataggio. Per tornare a casa hanno sfruttato una traiettoria di libero ritorno, compiendo un passaggio attorno alla Luna e poi impostando le accensioni necessarie con il motore del modulo lunare. I consumi di energia e acqua sono stati ridotti al minimo: luci spente, strumenti spenti, freddo e condensa ovunque. Ogni azione è stata misurata. Ogni comando, verificato due volte.

La sfida del controllo missione

A Houston, le squadre di controllo hanno lavorato senza sosta. Hanno scritto procedure da zero, calcolato manovre con margini strettissimi, improvvisato un adattatore per i filtri dell’anidride carbonica con materiali di bordo, nastro adesivo incluso. La collaborazione tra equipaggio e controllo missione è stata totale. Il modulo di comando è rimasto spento quasi fino all’ultimo, per conservare energia sufficiente all’ingresso in atmosfera e all’apertura dei paracadute. Era un equilibrio delicato: troppo poco margine e non si rientrava, troppo tardi e non si correggeva la rotta.

Il ritorno e il sollievo

Il 17 aprile 1970 Apollo 13 ha ammarato nel Pacifico ed è stato recuperato dalla portaerei USS Iwo Jima. Il mondo ha tirato un sospiro di sollievo. Quella che doveva essere un’esplorazione è diventata una lezione di gestione del rischio, addestramento e sangue freddo. La NASA ha definito la missione un “fallimento di successo”: obiettivo mancato, vite salvate, procedure migliorate. Da allora Apollo 13 è rimasto un simbolo di resilienza e di ingegneria al servizio delle persone, più forte di qualunque copione.

Il film di Ron Howard

La storia è stata portata sullo schermo da Ron Howard con “Apollo 13” (1995), interpretato da Tom Hanks, che ha restituito al pubblico la tensione e l’ingegno di quei giorni.

Jim Lovell (Nella foto NASA come quella in apertura), nato nel 1928 a Cleveland – Ohio, si è spento giovedì 8 agosto 2025 all’età di 97 anni. Con i suoi compagni di viaggio Jack Swigert e Fred Haise si è spinto, a bordo dell’Apollo 13, a 400.171 km dalla Terra, l punto più lontano dal nostro pianeta mai raggiunto da un essere vivente.